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									Probabilmente era un'insediamento d’origine 
									sicula. La città di Katane (gr. Kατάvη) fu 
									fondata, secondo il racconto di Tucidide 
									nella sua "Guerra del Peloponneso" dai greci 
									calcidesi guidati da Tucle e salpati da 
									Naxos, nel quinto anno dopo la fondazione di 
									Siracusa. Avendo scacciato con le armi i 
									Siculi, fondarono Lentini e dopo Katane. I 
									nuovi abitanti di Catania elessero come loro 
									ecista Evarco. Quindi, secondo Tucidide, 
									Catania fu fondata tra il 729 e il 728 a.C. 
									da coloni greci provenienti dalla città 
									Calcide, nell'Eubea (Tucidide, VI 3, 3).
								
								
									 
									
									L'abitato arcaico doveva occupare una 
									collina ben difendibile, immediatamente a 
									ovest del centro della città moderna, in 
									coincidenza dell’antico rione Montevergine, 
									di piazza Dante e dell’ex convento dei 
									Benedettini (scavi del 1978). Sappiamo 
									pochissimo sul primo periodo della sua 
									storia: praticamente solo la notizia 
									sull'origine catanese del celebre 
									legislatore Caronda, che poi fu esiliato e 
									si trasferì a Reggio (Aristotele, 
									Politica, II 1274a). Vi avrebbero 
									soggiornato numerosi e celebri uomini di 
									cultura, come il filosofo Senofane da 
									Colofone (tra i fondatori della scuola 
									eleatica) e i poeti Ibico e Stesicoro, che 
									vi morì (la sua tomba era indicata presso la 
									principale porta a nord della città, che da 
									lui prese il nome di porta Stesicorea).
								
								
									 
									
									Nel 476 a. C. Ierone, tiranno di Siracusa, 
									ne deportò gli abitanti a Leontinoi, e li 
									sostituì con 10.000 nuovi abitanti, in parte 
									Siracusani, in parte peloponnesiaci, e data 
									ad amministrare a suo figlio Dinomene 
									(Diodoro, XI 49, 1 sgg.). Anche il nome 
									della città venne modificato in Aitna 
									(Etna): con tale nome è celebrata nella 
									Pitica I di Pindaro, scritta in onore di 
									Ierone, e nella tragedia perduta di Eschilo, 
									rappresentata per l'occasione (Le Etnee). Ma 
									solo pochi anni più tardi, dopo la morte di 
									Ierone, Ducezio insieme ai Siracusani 
									costrinse i nuovi abitanti a trasferirsi a 
									Inessa (che assunse allora a sua volta il 
									nome di Etna), centro forse corrispondente 
									alla Civita di Paternò. Dal 461 Catania 
									recuperò così il suo nome e i suoi antichi 
									abitanti (Diodoro, XI 76, 3; Strabone, VI 2, 
									3).
								
								
									 
									
									Durante la guerra tra Siracusa e Atene, 
									Catania, inizialmente neutrale, prese poi 
									posizione a favore di Atene, dopo un 
									celebre discorso che Alcibiade avrebbe 
									pronunciato davanti all'assemblea riunita 
									nel teatro della città (Tucidide, VI 50, 3 
									sgg.; Frontino, Strateg. III 2, 6). 
									Sottoposta per questo a un'offensiva di 
									Siracusa, dopo la sconfitta degli Ateniesi 
									fu salvata dall'invasione cartaginese della 
									Sicilia del 409 a. C. Ma poco dopo il 403 a. 
									C. Dionigi di Siracusa riuscì a 
									conquistarla, e ne vendette in parte come 
									schiavi gli abitanti. I superstiti si 
									rifugiarono in un primo tempo a Milazzo, ma 
									da qui poi furono espulsi, e si dispersero 
									in varie località della Sicilia. Dionigi 
									ripopolò la città con i suoi mercenari 
									campani (Diodoro, XIV 15, 1 sgg.; 58, 2; 87, 
									1-3). Nel 345 è tiranno di Catania il 
									sabellico Mamerco, che in un primo tempo si 
									allea con Timoleonte, ma successivamente 
									passa ai Cartaginesi (Diodoro, XVI 69, 4). 
									Sconfitto da Timoleonte nel 338, egli si 
									rifugerà à Messina, ma, caduto nelle mani 
									dei Siracusani, verrà crocifisso, dopo aver 
									subito un processo nel teatro di Siracusa 
									(Plutarco, Vita di Timoleonte, 30; 31; 34).
								
								
									 
									
									Nel 263, all'inizio della prima guerra 
									punica, Catania (lat. Catĭna o Catăna) viene 
									conquistata dai Romani, sotto il comando del 
									console M. Valerio Messalla (Eutropio, II 
									19). Del bottino faceva parte un orologio 
									solare che fu collocato nel Comitium a Roma 
									(Plinio il Vecchio, Naturalis historia, VII 
									214). Da allora la città fece parte di 
									quelle soggette al pagamento di un'imposta a 
									Roma (civitas decumana). Sappiamo che il 
									conquistatore di Siracusa, Marcello, vi 
									costruì un ginnasio (Plutarco, Vita di 
									Marcello, 30).
								
								
									 
									
									Intorno al 135 a.C., nel corso della prima 
									guerra servile, fu conquistata dagli schiavi 
									ribelli (Strabone, VI 2, 6), e nel 122 a.C., 
									a seguito dell’attività vulcanica dell’Etna, 
									fu fortemente danneggiata dalle ceneri 
									vulcaniche stesse piovute sui tetti della 
									città che crollarono sotto il peso. (Orosio, 
									V 13, 3).
								
								
									 
									
									Il territorio di Catina, dopo essere stato 
									nuovamente interessato dalle attività 
									eruttive del 50, del 44, del 36 e in fine 
									dalla disastrosa colata lavica del 32 a.C. 
									che rovinò campagne e città etnee, e dai 
									fatti della disastrosa guerra che aveva 
									visto la Sicilia terreno di scontro fra 
									Ottaviano e Sesto Pompeo, si avvia sulla 
									lunga e faticosa strada della ripresa 
									socio-economica già in epoca augustea.
								
								
									 
									
									Tutta la Sicilia alla fine della guerra 
									viene descritta come gravemente danneggiata, 
									impoverita e spopolata in diverse zone. Nel 
									libro VI di Strabone in particolare si 
									accenna alle rovine subite dalle città di 
									Syrakusæ, Katane e Kentoripa.
								
								
									 
									
									Dopo la guerra contro Sesto Pompeo, Augusto 
									vi dedusse una colonia. Plinio il Vecchio 
									annovera la città che i romani chiamano 
									Catina fra quelle che Augusto dal 21 a.C. 
									eleva al rango di colonie romane assieme a 
									Syracusæ e Thermæ (Sciacca). Solo nelle 
									città che avevano ricevuto il nuovo status 
									di colonia furono insediati gruppi di 
									veterani dell’esercito romano. La nuova 
									situazione demografica certamente contribuì 
									a cambiare quello che era stato, fino ad 
									allora, lo stile di vita municipale a favore 
									della nuova “classe media”.
								
								
									 
									
									Nonostante questi continui disastri, che 
									costituiscono una delle costanti della sua 
									storia, Catania conservò una notevole 
									importanza e ricchezza nel corso della tarda 
									repubblica e dell'impero: Cicerone la 
									definisce «ricchissima » (Verrine, II 3, 
									10), e tale dovette restare anche nel corso 
									del tardo impero e nel periodo bizantino, 
									come si deduce dalle fonti letterarie e dai 
									numerosi monumenti contemporanei, che ne 
									fanno un caso quasi unico in Sicilia. Le 
									grandi città costiere come Catina, nel corso 
									del medio-impero, estesero il loro 
									controllo, anche a fini esattoriali dello "stipendium", 
									su un vasto territorio nell’entroterra 
									dell’isola che si andava spopolando a causa 
									della conduzione latifondistica della 
									produzione agricola.
								
								
									 
									
									Il cristianesimo vi si diffuse rapidamente; 
									tra i suoi martiri, durante le persecuzioni 
									di Decio e di Diocleziano, primeggia Sant'Agata, 
									patrona della città e Sant'Euplio.
								
								
									 
									
									Le incursioni barbariche della seconda metà 
									del V secolo sconvolgono tutta la Sicilia e 
									quindi anche Catania. Particolarmente 
									critico sembra essere stato il passaggio dei 
									Vandali di Genserico negli anni 440 e 441 
									d.C. provenienti da Cartagine che causò 
									danni talmente gravi da indurre le autorità 
									alla remissione del pagamento dei tributi . 
									Nel 476, Genserico cede ad Odoacre, re degli 
									Eruli, la Sicilia in cambio di un tributo. 
									Teodorico, divenuto re degli Ostrogoti nel 
									474, dopo aver sconfitto più volte Odoacre 
									in Italia lo uccise nel 493 restando così 
									l’incontrastato padrone d’Italia. Il 
									generare bizantino Belisario inviato da 
									Giustiniano a riconquistare l’Italia occupa 
									con facilità la Sicilia nel 535. Nuovi 
									scontri fra Belisario e gli Ostrogoti di 
									Totila si verificano fra il 542 e il 548 
									anno in cui il generale bizantino viene 
									richiamato a Costantinopoli. Catania viene 
									di nuovo occupata da Totila nel 550, ma dopo 
									la sconfitta degli Ostrogoti in Umbria e la 
									morte di Totila nel 552, tutta la Sicilia 
									tornò sotto il controllo bizantino nel 555. 
									Fu proprio da Catania che ebbe inizio la 
									riconquista bizantina dell'isola (Procopio, 
									Bellum Gothicum, III 40), e in essa ebbe 
									sede probabilmente il governatore civile 
									bizantino (praetor o praefectus).
								
								
									 
									
									La diocesi di Catania, è accertata fin dal 
									6° secolo. Rimase bizantina sino alla 
									conquista araba (sec. 9°).
								
								
									 
									
									I Normanni o meglio Ruggero d’Altavilla (Hauteville-le-Guichard), 
									ultimogenito di Tancredi d’Altavilla, 
									assieme ai suoi fanti e cavalieri 
									“cattolici” professionisti della guerra, 
									provenienti dal ducato di Normandia (Francia 
									del nord) e che poco avevano a che fare con 
									i loro “barbari” antenati vichinghi (fase 
									storica tra 7° e 9° sec.), misero piede in 
									Sicilia nel 1060. Dopo aver conquistato 
									Cerami, Troina, Palermo ed altre città, si 
									impadronirono di Catania nel 1072 che ebbe 
									un periodo di rinnovato splendore sotto la 
									guida del vescovo benedettino Ansgerio (Ansgar) 
									voluto dallo stesso Gran Conte Ruggero.
								
								
									 
									
									Gli Svevi, o meglio la dinastia degli 
									Hohenstaufen, presero il potere in Sicilia 
									grazie ad matrimonio fra Costanza d’Altavilla, 
									figlia di Ruggero II d'Altavilla con Enrico 
									VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa. 
									Morto il giovane Guglielmo III, ultimo re 
									del regno di Sicilia e prigioniero in 
									Germania, Enrico VI rivendicò l’Italia 
									meridionale e la Sicilia. Nel 1194 e nel 
									1197 Catania, che aveva sostenuto Tancredi 
									d’Altavilla prima e poi osato ribellarsi 
									agli Svevi, fu saccheggiata dalle truppe 
									germaniche.
								
								
									 
									
									La nobiltà cittadina non ebbe un rapporto 
									felice con gli Hohenstaufen; nemmeno con il 
									grande Fedrico II di Svevia al quale si 
									ribellò nel 1232. L’astio verso il potere 
									imperiale fece nascere diverse leggende tra 
									le quali quella che vuole che il castello 
									Ursino sia stato voluto da Federico II per 
									tenere a bada la popolazione. Avvenimento 
									importante per il futuro della città fu 
									l’inserimento di Catania tra le città 
									demaniali. Finiva così la totale egemonia 
									del vescovo-conte.
								
								
									 
									
									Alla fine della dinastia degli Hohenstaufen, 
									nel 1266 la Sicilia venne assegnata dal 
									Papa, che considerava l’isola patrimonio 
									della Chiesa, a Carlo d’Angiò; ma il dominio 
									angioino ebbe breve durata. I catanesi, che 
									avevano subito ingiustizie, sfruttamenti ed 
									erano stati danneggiati economicamente dalla 
									chiusura dei porti della città, 
									contribuirono validamente al rovesciamento 
									della “mala signoria”. I più importanti nomi 
									che animarono la rivolta a Catania furono 
									quelli di Palmiero, abate di Palermo, 
									Gualtiero da Caltagirone, Alaimo da Lentini 
									e il catanese Giovanni da Procida. Quest’ultimo 
									nel 1280, travestito da monaco, si recò dal 
									papa Nicolò III, dall’imperatore di Bisanzio 
									Michele Paleologo e dal re Pietro III 
									d'Aragona, per chidere: al papa di non 
									appoggiare Carlo d’Angiò in caso di rivolta; 
									all’imperatore Michele l’appoggio esterno 
									contro il nemico comune; e al re d’Aragona 
									di far valere il suo diritto al trono di 
									Sicilia in quanto marito di Costanza figlia 
									di Manfredi, l’ultimo degli Hohenstaufen.
								
								
									 
									
									Nel 1282 i moti meglio conosciuti come 
									“Vespri siciliani” posero fine al dominio 
									dell’isola da parte della dinastia francese. 
									Appena scoppiò la rivolta in Sicilia, la 
									flotta aragonese era già a Palermo e 
									l’occupazione della città da parte di Pietro 
									dava così inizio alla dominazione degli 
									Aragonesi in Sicilia (1282-1410). Catania fu 
									la sede dell’icoronazione del re aragonese 
									con il nome di Pietro I di Sicilia, ed 
									acquistò una posizione di privilegio in 
									quanto nel corso del 14° sec. venne scelta 
									spesso come sede del parlamento e dimora 
									della famiglia reale.
								
								
									 
									
									A Pietro III successe, in Aragona il suo 
									primogenito Alfonso III, e in Sicilia il suo 
									secondogenito Giacomo che subito, nel 1287, 
									dovette respingere, con l’aiuto 
									dell’ammiraglio Ruggero di Lauria, le 
									rinnovate pretese degli angioini che 
									avanzavano verso Catania da terra e dal 
									mare. Alla morte del fratello Alfonso III 
									d’Aragona, Giacomo prese il suo posto e 
									lasciò in Sicilia suo fratello Federico come 
									vicario. Ma la politica di riavvicinamento, 
									di accordi e di legami matrimoniali con la 
									casa d’Angiò, caldeggiata anche da papa 
									Nicolò IV, non piacque ai siciliani che il 
									15 gennaio 1296 si riunirono in parlamento a 
									Catania ed elessero loro re il giovane 
									Federico d’Aragona. Ma Aragonesi e Angioini, 
									alleati per l’occasione, attaccarono le 
									difese siciliane che, anche grazie al 
									tradimento di due catanesi, furono superate 
									e in particolare a Catania Roberto d’Angiò 
									prese possesso del castello Ursino dove poco 
									tempo dopo nacque Luigi futuro re di Napoli. 
									La guerra, che sembrava essersi conclusa con 
									al pace di Caltabellotta (1302) che 
									assegnava la Sicilia a Federico d’Aragona 
									con il titolo di re di Trinacria, proseguì 
									nel 1313. Federico, contravvenendo agli 
									accordi, si confermò re di Sicilia e 
									proclamò suo erede il figlio Pietro che gli 
									successe nel 1337. Sarà il figlio di Pietro, 
									Ludovico che riuscirà a tenere testa sia 
									alle lotte interne fomentate dalle due 
									fazioni baronali che alle incursioni del re 
									di Napoli. Il suo successore, il fratello 
									Federico III d’Aragona il Semplice, nato a 
									Catania, dopo varie vicende firmerà la pace 
									di Catania nel 1372.
								
								
									 
									
									Federico lasciò il regno alla figlia 
									minorenne Maria nata dal matrimonio con 
									Costanza figlia del re Pietro IV d’Aragona, 
									affiancata da quattro vicari: Artale Alagona, 
									Guglielmo Perrotta, Francesco Ventimiglia e 
									Manfredi Chiaramonte. Artale Alagona scelse 
									per la giovane regina Maria la residenza del 
									castello Ursino di Catania, progettando di 
									darla in sposa a Galeazzo Visconti, duca di 
									Milano. Ma la fazione capeggiata dai Ventimiglia, baroni d’origine catalana, 
									volevano che sposasse Martino figlio del 
									duca di Monteblanc presunto erede del trono 
									aragonese. Il rapimento di Maria portato a 
									termine da Gugliemo Raimondo Moncada fece 
									fallire i progetti del Gran Giustiziere del 
									regno e permise il matrimonio della regina 
									con Martino di Monteblanc. Re Martino I dopo 
									la morte di Maria avvenuta nel 1402 sposò 
									Bianca erede del trono di Navarra che scelse 
									di stabilirsi a Catania assieme alla corte. 
									Ma Martino muore a Cagliari nel 1409 all’età 
									di 33 anni e a lui succede il vecchio padre 
									Martino duca di Monteblanc che però morirà 
									l’anno successivo.
								
								
									 
									
									Catania sarà teatro delle traversie avute 
									dalla regina Bianca a causa delle mire per 
									la successione al trono da parte del Gran 
									Giustiziere Bernardo Caprera, conte di 
									Modica. Con l’elezione di Ferdinando I re 
									d’Aragona, Valenza e Catalogna la Sicilia fu dichirata provincia del regno aragonese. La 
									vedova regina Bianca fu confermata 
									“vicaria”. La Sicilia quindi non è più un 
									Regno ma solo una provincia e sarà così fino 
									alla dominazione borbonica. I catanesi si 
									consolarono con alcuni privilegi concessi 
									loro dalla regina Bianca.
								
								
									 
									
									Il successore di Ferdinando I, [[Alfonso il 
									Magnanimo riunì il 25 maggio del 1416, nella 
									sala dei Parlamenti di castello Ursino tutti 
									i baroni e i prelati dell’Isola per il 
									giuramento di fedeltà al Sovrano e fino al 
									30 agosto vi si svolsero gli ultimi atti 
									della vita politica che videro Catania come 
									città capitale del regno. Ma fu lo stesso re 
									Alfonso che permise la nascita a Catania 
									dell’Università più antica della Sicilia 
									(1434). Inoltre il 31 maggio del 1421, 
									invitato da Gualtiero Paternò e Andrea 
									Castello, che erano stati presenti al 
									parlamento che il re aveva tenuto a Messina, 
									venne a Catania per riconfermare 
									ufficialmente le “libertà” e gli “statuti” 
									della città.
								
								
									 
									
									La Sicilia passa tra i possedimente spagnoli 
									d’oltre mare e sarà retta da un vicerè che 
									allontanerà per sempre la diretta conduzione 
									politico-economica del sovrano. Catania 
									continuò a essere favorita dai sovrani 
									spagnoli, ma il popolo partecipò alla 
									rivolta contro Ugo de Moncada nel 1516 e ai 
									tumulti del 1647, in odio al fiscalismo 
									governativo. Una grande colata lavica, le 
									cui bocche effusive si aprirono a bassa 
									quota nel territorio del comune di Nicolosi, 
									investì nel 1669 il lato ovest e sud della 
									città. I danni alle campagne, alle strade e 
									alle difese furono molto gravi ma le stesse 
									mura di difesa della città riuscirono a 
									impedire, in massima parte, che la lava 
									entrasse nel centro abitato. Ventidue anni 
									dopo, nel 1693, un altro disastro colpì 
									Catania. Un violentissimo terremoto scuote 
									tutta le Sicilia orientale ma i danni 
									maggiori si registrano nell’area etnea.
								
								
									 
									
									Dopo il terremoto del 1693, la città si 
									sviluppò sino a occupare uno dei primi posti 
									nel commercio italiano; nel 1820 non aderì 
									al moto indipendentista e fu coi 
									costituzionali napoletani;nel 1837 partecipò 
									alle rivolte occasionate dal colera, e nel 
									1848-49 fu all'avanguardia del movimento 
									autonomista.
								
								
									 
									
									Nell'agosto 1862 Garibaldi vi stabilì il 
									centro organizzativo della spedizione 
									conclusasi ad Aspromonte.
								
								
									 
									Durante la seconda guerra mondiale, dopo lo 
									sbarco anglo-americano in Sicilia (9 luglio 
									1943), i Tedeschi, dopo aver bloccato il 
									generale Montgomery al ponte Primosole sul 
									fiume Simeto, per sottrarsi alla manovra 
									aggirante degli Anglo-Americani, 
									persistettero a lungo nella difesa di 
									Catania, che evacuarono solo il 5 agosto
								
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